Da ragazzina leggevo i classici. Li leggo ancora e li amo profondamente, ma negli anni ’90 la mia non era una scelta. Ero una giovane lettrice spiantata, che non comprava i libri in libreria bensì in edicola.
In edicola i libri costavano mille lire, duemila al massimo, cifre che per chi non ricorda le lire avevano più o meno il potere d’acquisto che oggi hanno un euro o due.
I libri da edicola erano quasi esclusivamente grandi classici della letteratura per cui mi sballavo con Tolstoj, Dumas padre e figlio, Dickens, Austen e compagnia scrivente.
Viaggiavo nel passato esplorando luoghi altrimenti inaccessibili, dialogavo con personaggi dagli usi e costumi lontani dai miei le cui emozioni erano però grosso modo le mie, e tutto quel gran sballo mi costava meno di un gelato.
Poi un giorno, al corso di recitazione, l’insegnante ci propose di mettere in scena un recital di poesie di Stefano Benni.
Andai in libreria – e sì, alla fine ci dovetti andare – e investii buona parte del mio dindarolo acquistando Ballate di Stefano Benni e Bar sport.
Il primo, una raccolta di poesie (o silloge?), mi sarebbe servito per il saggio di recitazione, il secondo invece fu il miglior acquisto compulsivo della mia giovane vita.
Quando nelle interviste mi domandano quali libri abbiano fatto di me una lettrice prima e una scrittrice poi, la mia risposta è sempre la stessa: Le notti bianche di Dostoevskij (acquistato in edicola a mille lire) e Bar sport di Benni.
Con i classici avevo sognato, osservato le mie emozioni attraverso quelle dei personaggi, pianto e sorriso, ma non mi ero mai sganasciata sino alle lacrime come con Bar sport.
Che i libri potessero far ridere, per me fu una rivelazione.
La seconda scoperta che feci continuando a leggere Benni, fu che era addirittura possibile passare dalle risate alle lacrime in poche righe, come mi accadde leggendo Achille piè veloce.
Dal bar di provincia a quello sotto il mare, dall’inferno di Elianto alle follie di Stranalandia, ho allenato la mia immaginazione e attraversato adolescenza e giovinezza, cullata dalla convinzione che Prima o poi l’amore arriva!
Un radioso pomeriggio incontrai il mio eroe, ero già verso la trentina ma l’emozione fu tale che “sgallinai” e squittii come una dodicenne strafatta di orsetti gommosi.
Avevo pensato a tante cose da dirgli e chiedergli, ma mi limitai a ridacchiare e squittire.
Riuscii giusto ad articolare le sillabe sufficienti a chiedergli di autografarmi Ballate, proprio accanto alla poesia che tanti anni prima scelsi per il saggio di recitazione.
Feci anche un’altra cosa, un gesto probabilmente fuori luogo: gli regalai una raccolta di racconti, dove ce n’era uno mio.
Un gesto simbolico, che per me significava: mi hai dato tante storie, io te ne restituisco una. Sapevo che uno scrittore famoso e impegnato come lui, molto probabilmente non avrebbe letto quel raccontino, ma il mio eroe letterario fu così gentile da chiedermi una dedica e regalarmi uno scatto con il libriccino in mano.
Lo ringraziai almeno una decina di volte, e oggi lo ringrazio per l’undicesima, anche se non può più sentirmi (almeno non con le orecchie).
Addio maestro d’ironia, sherpa della mia immaginazione, tu hai fatto di me un’esploratrice di mondi nei quali, prima di conoscerti, mai avrei osato avventurarmi.