Chi ama i libri deve convivere con due refrain che hanno in comune la parola sempre: “si legge sempre di meno” e “l’editoria è sempre più commerciale”.

Che si legga sempre di meno purtroppo è un dato di fatto e le statistiche parlano chiaro, sulla questione che l’editoria sia sempre più commerciale mi permetto invece di dissentire.

L’editoria è da sempre un’industria e in quanto tale punta a vendere, anche il più coraggioso editore indipendente, quando dà alle stampe un libro, si augura che abbia successo.

Eppure, talvolta, pare che un libro venga considerato degno di  nota soltanto se ha venduto poco, quasi il successo commerciale gli sottraesse valore letterario.

Se bastasse vendere poco per dire di aver scritto un buon libro, allora potrei affermare senza timore di essere smentita, di aver scritto soltanto grandi capolavori!

Gli scrupoli intellettuali – leggi anche seghe mentali – che ci facciamo oggi sulla mercificazione letteraria, non avrebbero attecchito nei secoli scorsi, ai bei tempi nei quali si leggevano e vendevano molti libri.

Oggi, con le vendite ai minimi storici, ci permettiamo di porci il problema se sia lecito o meno pubblicizzare la letteratura al pari di qualunque altro prodotto in commercio; nei secoli passati, invece, gli editori non si facevano scrupoli a utilizzare i libri addirittura come veicolo pubblicitario.

Nei compianti secoli nei quali l’industria editoriale era florida, i libri ospitavano al loro interno delle pubblicità, e non la réclame di altri titoli, bensì quella di lampadine, cosmetici o lucido per scarpe.

I libri con lo sponsor erano cosa assolutamente comune.

Tempo fa mi sono imbattuta in un bel post dedicato alla giornalista americana Nellie Bly, che nel 1887, spacciandosi per matta, si fece internare in un manicomio al fine di documentare la vita delle pazienti.

A seguito di questa esperienza, la giornalista d’assalto scrisse un memoriale intitolato Ten day in the mad house (dieci giorni in manicomio).

Incuriosita dall’articolo ho cercato il libro in rete, e ho scovato un sito nel quale era disponibile il pdf dellaprima edizione.

Sapete cosa c’era nelle primissime pagine del libro?

La pubblicità di un corsetto!

 

WHY ARE

THE MADAME MORA’S CORSETS

10 day in a mad house

A MARVEL OF COMFORT AND ELEGANCE!
Try them and you will Find

WHY they need no breaking in, but feel easy at once.
WHY they are liked by Ladies of full figure.
WHY they do not break down over the hips, and
WHY the celebrated French curved band prevents any wrinkling or stretching at the sides.
WHY dressmakers delight in fitting dresses over them.
WHY merchants say they give better satisfaction than any others.
WHY they take pains to recommend them.

 

Their popularity has induced many imitations, which are frauds, high at any price. Buy only the genuine, stamped Madame Mora’s. Sold by all leading dealers with this

GUARANTEE:

that if not perfectly satisfactory upon trial the money will be refunded.
L. KRAUS & CO., Manufacturers, Birmingham, Conn.

 

decoro

Evidentemente l’editore non si pose minimamente il problema di svilire un’opera di denuncia sociale, dai contenuti molto forti, con la pubblicità di un frivolo indumento femminile; la sua unica preoccupazione fu semmai quella di “tener su la baracca”.

In un momento di profonda crisi economica, tornare a pubblicare con l’aiuto degli sponsor sarebbe un’ottima soluzione ma, scrupoli intellettualoidi a parte,i libri come già detto vendono poco, e nessuna azienda di buon senso investirebbe in una pubblicità con un bacino d’utenza tanto misero.

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