Cari lettori,

oggi vorrei condividere con voi un ricordo ormai piuttosto lontano: era la fine degli anni Novanta, avevo appena cominciato l’università e il mondo mi sembrava un posto mostruosamente interessante.

Dopo cinque soporiferi anni di ragioneria e qualche lavoretto se possibile anche più noioso, mi  iscrissi al DAMS di Torino con lo scopo di imparare, vedere, sapere, capire…. TUTTO!

Quel “tutto” includeva in primis letteratura e teatro, poi musica e arti figurative, materie di cui, nonostante l’abbruttimento degli insegnamenti contabili, non ero completamente digiuna; c’era poi il cinema del quale, invece, non sapevo nulla.  

Qualche film l’avevo visto in televisione, ovviamente, e d’estate frequentavo il cinema all’aperto della parrocchia dove, tra nugoli di feroci zanzare,  potevo assistere a  proiezioni di seconda visione, ma il mio curriculum di cinefila si fermava lì.

Così, quando a lezione di storia del cinema il docente ci raccomandò di seguiee il Torino Film Festival che era iniziato proprio in quei giorni, mi fiondai al Cinema Massimo e acquistai il biglietto per una proiezione a caso (accertandomi  soltanto che fosse in Italiano poiché, a causa della mia vista già allora molto corta, i sottotitoli per me erano un mistero inesplicabile).

Presi posto nella sala, una di quelle vecchie sale cinematografiche strette e mostruosamente in discesa; sotto allo schermo c’era un lungo tavolo  occupato da  alcuni relatori dai quali appresi che stavamo per  assistere alla proiezione dei cortometraggi di giovani registi italiani.

Ognuno dei lavori veniva annunciato dai relatori e poi commentato alla fine della proiezione, talvolta insieme allo stesso regista. Nonostante mi sforzassi di trovare il tutto molto intrigante, ammetto che mi annoiai a morte. Molte delle opere  erano raffazzonate e pretenziose (ma forse così apparivano a una giovane frequentatrice del cinema parrocchiale), alcuni dei corti, poi, avevano per me il solo pregio di durare poco.

Dopo tanta noia, però, ecco l’eccezione! Finalmente  fu proiettato un cortometraggio divertente, profondo, con delle cose da dire e degli attori che erano in grado di pronunciarle senza mangiarsi le parole! Il corto, in stile documentario, narrava di un mondo nel quale i libri erano considerati tossici e i lettori dei  drogati da disintossicare con ogni mezzo.

Negli anni seguenti ho spesso ripensato a quel cortometraggio sperando di poterlo rivedere ma, ovviamente, non ne ricordavo il titolo né tantomeno il regista. Poi, qualche giorno fa, ho visto una scritta sbiadita su di un muro: ASINO CHI LEGGE.

Associazione culturale Asinando

Mi si è  aperto uno spiraglio nella memoria: quello era proprio il titolo del cortometraggio sui bookaholic che avevo visto molti anni  prima, e che tanto mi aveva colpito!

Lo cercai su youtube e lo trovai subito: “Asino chi legge”, soggetto, sceneggiatura e regia di Pietro Reggiani.

Quando caricai il video ero pervasa dal vago timore che non fosse bello come lo ricordavo, e invece no, lo era anche di più perché il trascorrere degli anni gli aveva conferito una bella patina retrò.

Ho riso forte e di gusto, non come al Torino Film Festival, durante il quale  osavo soltanto annuire  con fare cogitabondo e applaudire in maniera sobria e composta.

Ora che ho dissotterrato dalla memoria questo piccolo e preziosissimo tesoro, voglio condividerlo con voi,  amici lettori.

Vi ritroverete certamente nelle disavventure dei protagonisti e riderete, non di loro bensì di voi stessi e delle vostre piccole e grandi manie da libro-dipendenti.

Concedetevi 23 minuti e qualche secondo per gustarvi Asino chi legge di  Pietro Reggiani, vi assicuro che ne varrà la pena.

 

 

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